13 maggio 2007

Primo giorno

"E fu sera e fu mattina:
primo giorno".


Signore, il primo giorno è concluso, primo giorno di vita creata, primo atto di sapienza, primo cerchio che si chiude a spezzare l'eterno.

Ogni vita umana è sera ed è mattina e conosce il termine del suo primo giorno. Ed ogni istante della vita umana è sera ed è mattina, è notte che genera l'aurora. Sera e mattina, perché torni di nuovo sera e l'anima s'interroghi ancora, prima di affrontare il giorno che l'attende. Buio e luce, alternarsi di riflessione e azione, lavoro e riposo, dolore e gioia, tenerezza e asprezza, paura e coraggio... Senza che uno sia bene e l'altro male, entrambi condizioni irrinunciabili dell'essere creato.

E quando è terminato il primo giorno - ed ogni altro ancora - ne rimangono indelebili i segni. Ogni azione compiuta s'impone con tutto il suo peso nella storia. Il tempo ha i caratteri della parola di Dio, che è efficace e veritiera, che è fedele a se stessa, che non si smentisce, non cambia, non passa. Il tempo impone alla storia il sigillo della stabilità e della durevolezza, della fedeltà.
Potrebbe sembrare il contrario... Il tempo che divora la vita e ne cancella il passaggio. Ma non è così. Senza la direzione temporale, nessun evento potrebbe ricevere quella definitività e la sua propria compiutezza. È sera ed è mattina: primo giorno. Non altrimenti avremmo potuto individuarlo, delimitarlo. E senza compiutezza non si dà forma, non si dà contorno preciso, non si individua con esattezza l'oggetto. Finché l'atto non è concluso, perché passato, non è individuabile, non è esprimibile, non è possibile chiamarlo per nome. Dopo sì: perché il suo tempo, concluso, ne ha fissato i contorni che non potranno essere più modificati. Solo allora, l'atto è definito e finito, osservabile in tutta la sua interezza, passibile di giudizio e di ricordo, fonte di crescita per atti ulteriori e insegnamento che costruisce la vita. Storia scritta, indelebile. L'atto, finito, entra così nell'eternità: il tempo - limite all'eterno - ne diventa la porta e la scala.

Sia così, Signore, che sai parlarci di te con parole d'uomo e condurci a te per sentieri tutti terreni.

photo jrambow, Creative Commons Public Licenses (CCPL) 2.0

06 maggio 2007

Terzo atto

"...e separò la luce dalle tenebre
e chiamò la luce giorno
e le tenebre notte"


È il terzo atto di Dio sulla creazione in divenire: separare la luce dalle tenebre. La luce è cosa buona, le tenebre? La luce è stata chiamata da Dio all'esistenza, le tenebre? Le tenebre sembrano semplicemente venire in evidenza alla presenza della luce e della sua bontà. Di fronte alla luce, ecco le tenebre - assenza di luce.

Quando hai creato la luce, essa era immersa e confusa nelle tenebre, è stato necessario separarle.
Tenebre e luce, inizialmente unite e conviventi. La luce nasce nel seno delle tenebre, nel grembo dell'oscurità. Come la vita del Figlio dell'uomo nel cupo gelo di un sepolcro nella roccia. Il germe della bontà, nella sterilità della terra informe. Come ad evidenziare ancora una volta che la bontà è opera tutta tua, solo tua. La bontà.

Primo atto: la bellezza, nella forma del creato.

Secondo atto: la bontà, nell'essere della luce.

Terzo atto: la verità, nel separare la luce dalle tenebre.

Qui contemplo la tua misericordia, Signore: terzo atto. Perché potessi vedere la bellezza della forma, hai dato luce alla tua opera - secondo atto - e perché la luce potesse fendere l'oscurità e illuminare, l'hai separata da essa e le hai dato un nome, un tempo, un confine, uno spazio d'essere, un raggio d'azione - terzo atto. L'hai posta in evidenza e l'hai chiamata per nome. Atto della misericordia; perché nessuno potesse essere ingannato, perché nessuno si sentisse confuso. Perché nessuno potesse fingere con malizia di non aver compreso. Nella verità possiamo riconoscere te, la tua opera, i segni del tuo passaggio. Perciò la luce si chiami giorno, le tenebre notte.

Guai a me, quando per paura o per convenienza agisco o penso come se tenebre e luce fossero confuse. Quando nascondo consapevolmente la verità, quando stravolgo il nome delle cose, la loro essenza.

...il vostro parlare sia: "Sì, sì; no, no"; poiché il di più viene dal maligno.
Matteo 5,37